La Storia

G I Precedenti Franosi

Descrizione

L'area, nonostante le sue qualità geometriche di 'bacino idrico' in termini di volume e posizionamento, era storicamente tutt'altro che stabile, e lo dimostrano dei documenti storici risalenti addirittura ai tempi di Catullo, che parla di una frana che cadde sul fondovalle, sbarrandolo.

Sempre in zona, avvennero frane nel 1347, 1737, 1814, 1868. Esse si staccarono in particolare dal monte Antelao, provocando vittime e danni considerevoli.

Nella vicina vallata di San Lucano, avvennero frane nel 1748, 1908 e 1925.

Per quanto riguarda la vicenda del Vajont, maggiore interesse può essere accreditato alla frana di Pontesei (nella vicina valle di Zoldo) e quella del monte Toc del 4 novembre 1960.

La prima era correlata alla presenza di un bacino idrico, uno dei tanti del bellunese, per la produzione di elettricità. Le caratteristiche della frana sono state una vera e propria anticipazione di quella del Vajont. Verso le ore 7:00 del 22 marzo 1959 una massa di 3 milioni di m³ si staccò dalle falde dei monti Castellin e Spiz, su di un fronte di 500 metri e precipitò in 2-3 minuti nel lago di Pontesei, ovvero uno dei bacini artificiali. L'evento provocò la formazione di un'onda che sormontò la diga per almeno 7 metri, nonostante il bacino fosse a un livello di 13 metri al di sotto dell'orlo della diga. Incolumi per pochi metri, e testimoni oculari, furono l'ingegner Camillo Linari, in servizio alla Sade e il geometra Marinello. Unica vittima fu Arcangelo Tiziani[13][14], transitante in bicicletta, operaio di una impresa costruttrice, Cargnel di Forno di Zoldo, che stava effettuando dei lavori nei pressi della diga, il cui corpo non fu più ritrovato.

L'evento ebbe una lunghezza del fronte di frana di circa 500 metri e la sua dinamica vide il franamento superficiale di un considerevole spessore di detriti morenici.

La frana del 4 novembre 1960 vide invece 800 000 m³ staccarsi dal monte Toc e cadere nel bacino artificiale, provocando un'ondata di 10 metri di altezza. Seppure senza danni seri, questo evento era un chiaro avvertimento sulla precarietà della stabilità dei versanti, con un livello della superficie del bacino che arrivava solo a quota 650 metri. Contemporaneamente si aprì una immensa fessura perimetrale sulla montagna, disegnando la forma di una M, lunga oltre 2 500 metri sulle pendici settentrionali del monte Toc tra quota 930 e 1 360 metri s.l.m.

A quel punto venne dato ordine di svaso del bacino, si intensificarono gli studi per comprendere meglio la struttura del luogo e venne infine praticata una galleria di bypass per tenere in collegamento il bacino anche se fosse stato tagliato a metà da una grande frana, per impedire aumenti arbitrari del livello a monte della stessa.

La giornalista de l'Unità Tina Merlin, che denunciò con una serie di articoli il pericolo di frana del Monte Toc.

La giornalista de L'Unità Tina Merlin scrisse a proposito di questi eventi:

«Si era dunque nel giusto quando, raccogliendo le preoccupazioni della popolazione, si denunciava l'esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago. E il pericolo diventa sempre più incombente. Sul luogo della frana il terreno continua a cedere, si sente un impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare. E le larghe fenditure sul terreno che abbracciano una superficie di interi chilometri non possono rendere certo tranquilli.»

Già due anni prima della tragedia, Tina Merlin anticipò quello che sarebbe potuto succedere nella valle, con un articolo pubblicato sull'Unità il 21 febbraio 1961, in cui la giornalista denunciava la possibilità che una frana cadesse nel lago provocando enormi danni[16][17]. La stessa Merlin incoraggiò una campagna di informazione contro la diga per tutta la durata dei lavori di costruzione, consultando gli abitanti della valle al di sotto del monte Toc. Inascoltata dalle istituzioni, la giornalista fu addirittura denunciata per "diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico" tramite i suoi articoli, processata e assolta dal Tribunale di Milano.

Nel 1963 Indro Montanelli e Dino Buzzati assunsero una posizione critica in merito alle reali cause della tragedia, affermando il carattere di catastrofe naturale della stessa e tacciando di "sciacallaggio" l'attività di alcuni giornalisti italiani, tra i quali appunto Tina Merlin, accusandola di speculazione politica per i suoi scritti.[18] Anni dopo Montanelli chiarì la sua posizione, sostenendo che all'epoca voleva evitare un "anticipo di condanna basato su delle voci", poiché secondo la sua opinione "in quel momento era largamente condiviso il sospetto che quelle voci volessero soltanto giovare alla causa di quella parte politica che reclamava la nazionalizzazione dell'industria elettrica". Prese comunque atto delle responsabilità penali accertate in sede giudiziaria e, pur ritenendo di essere stato male interpretato, si scusò comunque: "Con questo, non intendo difendere un errore. Lo commisi. Ma temo che, in analoghe circostanze, tornerei a commetterlo".

Clima

La diga del torrente Vajont è situata in una area ad elevata piovosità, con massimi in primavera ed in autunno e con minimi in inverno. L'azione del gelo-disgelo insiste sul versante meridionale della valle. Inoltre, data l'esposizione della stessa verso Est-Ovest, essa è sottoposta ad una scarsa insolazione.