Gli imputati nel corso del processo dell'Aquila del 1969. Da sinistra a destra, in prima fila: Alberico Biadene e Almo Violin; in seconda fila: Augusto Ghetti, Curzio Batini e Dino Tonini; in terza fila: Pietro Frosini, Roberto Marin e Francesco Sensidoni.
Il 20 febbraio 1968 il giudice istruttore di Belluno Mario Fabbri, depositò la sentenza del procedimento penale contro Alberico Biadene, Mario Pancini, Pietro Frosini, Francesco Sensidoni, Curzio Batini, Francesco Penta, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin e Augusto Ghetti. Due di questi, Penta e Greco, nel frattempo, morirono, mentre Pancini, si tolse la vita il 24 novembre di quell'anno.
Il giorno dopo iniziò il Processo di Primo Grado, che si tenne a L'Aquila, a ben 550 chilometri dal luogo del disastro, presieduto dal giudice Marcello Del Forno, e che si concluse la sera del 17 dicembre 1969. L'accusa, Armando Troise, chiese ventuno anni e quattro mesi di reclusione per tutti gli imputati (eccetto Violin, per il quale ne vennero richiesti nove) per disastro colposo di frana e disastro colposo d'inondazione, aggravati dalla previsione dell'evento e omicidi colposi plurimi aggravati. Biadene, Batini e Violin vennero condannati a sei anni, di cui due condonati, di reclusione, per omicidio colposo, colpevoli di non aver avvertito e di non avere messo in moto lo sgombero; tutti gli altri furono assolti. La prevedibilità della frana non venne riconosciuta.
Il 26 luglio 1970 inizia a L'Aquila il Processo di Appello, sotto la presidenza del giudice Bruno Fracassi, con lo stralcio della posizione di Batini, gravemente ammalato di esaurimento nervoso. Il 3 ottobre la sentenza riconosce la totale colpevolezza di Biadene e Sensidoni, che vengono riconosciuti colpevoli di frana, inondazione e degli omicidi. Essi vengono condannati a sei e a quattro anni e mezzo. Frosini e Violin vengono assolti per insufficienza di prove; Marin e Tonini assolti perché il fatto non costituisce reato; Ghetti per non aver commesso il fatto.
Dal 15 al 25 marzo 1971 a Roma si svolse il Processo di Cassazione, presieduto dal giudice Giovanni Rosso, nel quale Biadene e Sensidoni vengono riconosciuti colpevoli di un unico disastro: inondazione aggravata dalla previsione dell'evento compresa la frana e gli omicidi. Biadene viene condannato a cinque anni (due per il disastro e tre per gli omicidi), Sensidoni a tre e otto mesi: entrambi gli imputati beneficiano di tre anni di condono (nel caso di Biadene per motivi di salute; viene infine rilasciato dopo un solo anno di detenzione per buona condotta).
Tonini viene assolto per non aver commesso il fatto; gli altri verdetti restano invariati. La sentenza avvenne quindici giorni prima della scadenza dei sette anni e mezzo dell'avvenimento, giorno nel quale sarebbe intervenuta la prescrizione.
ULTERIORI VICNEDE GIUDIZIARIE, CONCLUSIONE
Il 16 dicembre 1975 la Corte d'Appello dell'Aquila rigetta la richiesta del Comune di Longarone di rivalersi in solido contro la Montedison, società che aveva acquisito la SADE, condannando l'ENEL al risarcimento dei danni subiti dalle pubbliche amministrazioni, a loro volta già condannate a pagare le spese processuali alla Montedison.
Sette anni dopo, il 3 dicembre 1982, la Corte d'Appello di Firenze ribalta la sentenza precedente, condannando in solido ENEL e Montedison al risarcimento dei danni sofferti dallo Stato e la Montedison per i danni subiti dal Comune di Longarone; il 17 dicembre del 1986 la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso presentato da Montedison contro la sentenza del 1982.
Infine il 15 febbraio 1997 il Tribunale Civile e Penale di Belluno condanna la Montedison a risarcire i danni subiti dal comune di Longarone per un ammontare di lire 55 645 758 500, comprensive dei danni patrimoniali, extra-patrimoniali e morali, oltre a lire 526 546 800 per spese di liti ed onorari e lire 160 325 530 per altre spese. La sentenza ha carattere immediatamente esecutivo. Nello stesso anno viene rigettato il ricorso dell'ENEL nei confronti del comune di Erto-Casso e del neonato comune di Vajont, obbligando così l'ENEL al risarcimento dei danni subiti, che verranno quantificati dal Tribunale Civile e Penale di Belluno in lire 480 990 500 per beni patrimoniali e demaniali perduti; lire 500 000 000 per danno patrimoniale conseguente alla perdita parziale della popolazione e conseguenti attività; lire 500 000 000 per danno ambientale ed ecologico.
La vicenda si concluse definitivamente nel 2000 con un accordo per la ripartizione degli oneri di risarcimento danni tra ENEL, Montedison e Stato Italiano al 33,3% ciascuno.